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Il viaggiatore notturno – Maurizio Maggiani

Difficile definire la bellezza. Ma ci proviamo con la riflessione tagil riportata da Maurizio Maggiani, in un libro vincitore nel 2005 del Premio Strega e del Premio Ernest Hemingway.

IL VIAGGIATORE NOTTURNO (2005)

di Maurizio Maggiani

Ma allora, cos’è la bellezza per te?, ha chiesto [Marguerite] alla tamburina, mettendola alle corde con la sua implacabile tecnica giornalistica.

Guardavo la ragazza accarezzare con il piede nudo la terra, e nel farlo osservare quel suo piede lungo e snello ornato di sottili anelli d’argento con la stessa curiosità che hanno i cuccioli dei gatti quando scoprono la loro coda muoversi nell’aria.

Pensavo che stesse per alzarsi e andarsene. Invece ha chiesto agli interpreti di riferire alla famosa giornalista di Parigi che le avrebbe spiegato cos’era per lei la bellezza, ma che avrebbe potuto farlo solo la mattina seguente presso la sua casa, all’ora in cui la donna avrebbe avuto piacere di svegliarsi.

Ha parlato agli interpreti senza mai distogliere lo sguardo da Marguerite, regalandole lo spettacolo delle sue straordinarie luci flottanti. Forse Marguerite le vedeva, forse no; forse bisognava avere come me una particolare attitudine alla vista notturna.

Ma Marguerite era contenta di un appuntamento così misterioso, era addirittura felice di poter essere in ansia per qualcosa di inaspettato ma gravido di opportunità per il suo reportage.

La ragazza si chiamava Ahmiti e la sua casa era come ogni altra di Timaussù, costruita con pietre e fango così come gli arabi avevano insegnato ai tagil perché lasciassero le loro tende. Un muro quadrato e cieco con una fessura per entrare e uscire; all’interno, addossate al muro, quattro stanze, ognuna con la sua porta, ogni porta con un basso cespuglio di artemisia accanto.

C’era tutta la famiglia di Ahmiti a salutare gli ospiti; era una famiglia numerosa con molti zii e fratelli. C’era ancora tutta la famiglia sulla porta della stanza di Ahmiti per assistere alla sua spiegazione intorno alla bellezza, e c’erano gli interpreti del governo e il sottoscritto.

La stanza di Ahmiti aveva poche cose: dei tappeti in un angolo, una grossa cassa di legno scuro in un altro e uno sgabello non diverso da quelli che ho visto usare nel mio paese per mungere le vacche. Sgomitando tra la calca, un filo di luce riusciva a varcare la porta e ad accendere gli occhi della tamburina; non erano più neri e viola, ma azzurri e indaco come il suo vestito. I tre bruscolini di luce erano ancora lì, barche senza approdo nel placido mare del primo mattino.

Ahmiti ha chiesto agli interpreti di pregare la giornalista di mettersi nuda.

Questa volta gli scagnozzi governativi non hanno avuto bisogno di consultarsi.

E Marguerite lo ha fatto; senza esitazione, con la noncurante precisione di chi si spogli per una visita medica. Ha piegato per bene le sue cose e le ha poggiate sul pavimento di cemento accanto a sé. Visto dalla redazione centrale della prestigiosa rivista di Marguerite, stava diventando un reportage più che interessante, forse unico.

Allora la tamburina ha lavorato sulla nudità.

Con metodo, con pazienza, l’ha lavata e detersa, massaggiata e profumata, laccata, dipinta e istoriata d’argento, cornioli, cuoio. Poi ha vestito la nudità. Ha preso dalla cassa una lunga pezza azzurra e ha chiesto di dire alla giornalista che quella che stava per indossare era la veste preparata dalla famiglia per il suo matrimonio, quando sarebbe venuto.

Marguerite è diventata una sposa tagil. Il sole già alto pioveva giù dal foro per il fuoco al centro della stanza e sotto la luce granulosa la giornalista stava immobile a contemplare qualcosa che non poteva vedere: non c’erano specchi nella stanza di Ahmiti.Questa è la bellezza, ha dichiarato alla stampa la tamburina di Timaussù.

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