Quanto ci si può spingere verso la brutale vendetta? L’odio bruciante può trasformare la vittima in carnefice? Fino a dove si può desiderare di punire il proprio oppressore, la rovina della propria vita? Quella tracciata con abilità da Pino Scotti in “Vendetta” è una vicenda che spinge sempre più in là i confini del moralmente accettabile, e apre una serie di interrogativi su un sentimento che si ha paura a indagare. L’autore ammette di aver faticato a scrivere questo testo, difficile, aspro, in certi passaggi anche perverso. Eppure, l’aver scritto senza tabù fa onore a Pino Scotti. Egli ha trattato un tema scomodo, trovando un coraggio non comune. E la voglia di parlare dell’odio, forse anche in funzione catartica, ha prevalso. Scotti ha avuto la forza di portare su carta un sentimento che solitamente si ignora. Ammettere di provarlo apparentemente non fa onore, in una società dove spesso ci si ammanta frettolosamente di bontà. Eppure, è qualcosa che, prima o poi, viviamo tutti. Accade di non riuscire a mettere da parte la rabbia per qualcosa. Non lo si vuole ammettere, non lo si vuole esplorare. La paura di scoprirsi“cattivi”, secondo l’accezione comune del termine, blocca. A volte, si preferisce tener chiuse profondità e ombre dentro di sé, celandole anche a sé stessi. Ma, dopotutto, a che pro? Scotti, in un libro sui generis, crudo e sincero, è partito da un fatto realmente accaduto a una persona vicina. L’autore ha assistito alle sofferenze di un amico. Ha anche sperato riuscisse a vendicarsi. Con ogni probabilità, si è interrogato su vendetta e giustizia, e ha scritto questo romanzo, senza riuscire del tutto a rispondere ai suoi dubbi. Perché spesso, a certe domande, non c’è una vera risposta. Il tratto più interessante del libro è la reazione del protagonista alla riuscita della sua vendetta. Con grande capacità introspettiva, Scotti delinea un profilo psicologico che trasuda realismo. Anelava alla pace, al trionfo, che non arrivano. In lui c’è solo un vuoto, nonostante abbia ottenuto ciò che voleva. E quindi ci si chiede: una volta attuata, la vendetta dona la pace? Per placare l’odio bruciante, bisogna vendicarsi oppure convivere con esso, senza esserne divorati? Si può guarire? Per farlo, è necessario il perdono? E se non si riesce a concederlo? Il grande merito di “Vendetta” è questo: mostrare che l’odio, semplicemente, esiste. Il romanzo toglie da esso un velo di omertà e di perbenismo. Il libro può risultare sadico, duro, perverso, insopportabile. Resta apprezzabile il coraggio dell’autore di mettersi a nudo, come a dire: “Ho vissuto questo, mi interrogo”. La risposta, Pino Scotti non la trova. Di conseguenza, non può donarla al lettore. Al quale restano due strade: disgustarsi e spaventarsi, o porsi a sua volta domande. E la finalità di un libro è anche questa, senza ipocrisie e senza censure.
Paola Bernasconi