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Sillabari – Goffredo Parise

SILLABARI (1984)
di Goffredo Parise

Il libro nasce così: negli anni tra il ’68 e il ’70, in piena contestazione ideologica, in tempi così politicizzati, udivo una gran quantità di parole che si definiscono comunemente difficili. Difficili anche da pronunciare. Per esempio: Rivoluzionarizzare. Ecco, non esprime nulla.
Sentivo una grande necessità di parole semplici. Un giorno, nella piazza sotto casa, su una panchina, vedo un bambino con un sillabario. Sbircio e leggo: l’erba è verde, l’essenzialità della vita e anche della poesia. Pensai a Tolstoj che aveva scritto un libro di lettura non soltanto per i bambini e poiché vedevo intorno a me molti adulti ridotti a bambini, pensai che essi avevano scordato che l’erba è verde, che i sentimenti dell’uomo sono eterni e che le ideologie passano. Gli uomini di oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie. Ecco le ragioni del Sillabario.

(«Il Gazzettino», 30 ottobre 1972)


È così che lo scrittore vicentino Goffredo Parise presenta la genesi dei suoi Sillabari, un’opera destinata a generare polemiche negli ambienti letterari dell’epoca, per poi essere considerata un classico del Novecento italiano. Si tratta di una serie di racconti, scritti tra il 1971 e il 1980, che prima di essere raccolti in volume furono pubblicati progressivamente sul Corriere della sera (ad eccezione di uno, Sesso, per ragioni intuibili). Il progetto che l’autore delinea attraverso questi testi è insieme fiabesco e audace, ed è quello di ri-sillabare il mondo, ritrovare cioè il senso di quelle parole di uso comune che sorprendono per la loro semplicità (l’erba è verde), ma la cui apparente banalità non è altro che la punta di un profondissimo iceberg. Ogni racconto è di fatto dedicato a un sentimento o un concetto, di natura universale. Seguendo l’ordine alfabetico, la raccolta si apre con titoli come Amore, Affetto, Altri…; prosegue poi con la B di Bacio, Bambino, Bellezza…, la C di Caccia, Carezza, Casa…, e così via per ogni lettera, fino ad interrompersi bruscamente alla S di Solitudine. Il motivo è segnalato dall’autore in un’Avvertenza proposta all’inizio del libro: alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.

(Opere, II, p. 316).


Ciò che propone Parise è un mosaico delle emozioni che segnano e caratterizzano la natura umana, il quale, grazie alla sua struttura particolare e alla forma breve del racconto, si presta a delle letture mirate, in base al proprio stato d’animo o ai titoli che più intrigano.
Silvia ogni tanto pensava al nonno ma in modo molto labile e le pareva di non sentirne la mancanza. Lo pensava al tardo pomeriggio, subito dopo cena, dopo il rosario nella piccola cappella, quando stando seduti sull’erba, fuori, guardava e soprattutto udiva le rondini che con le loro strida volavano bassissime su di loro e sulla colonia mentre il più grande dei bambini suonava la campana. Al crepuscolo le rondini si stagliavano nette contro il cielo colore lilla e
giallo all’orizzonte, dalla porta della cappella usciva un po’ di odore d’incenso e questo, insieme all’odore di umidità che saliva dai prati di erba alta immediatamente sotto la cappella, provocava in Silvia un sentimento che non aveva mai provato e che non avrebbe saputo definire: era certo che tale sentimento, provocato da quegli odori resi un po’ freddi dal crepuscolo, le chiudeva la gola e le veniva da piangere.

(Malinconia, da: G. PARISE, Sillabari, Adelphi, Milano 2009, p. 233)

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