Il nesso tra arte e follia, genio e pazzia, ha una lunga storia. Già Platone nel V sec. a.C. metteva in guardia i suoi discepoli sulle insidie dell’arte, che afferisce alla sfera irrazionale dell’anima umana, orientandola verso sentieri altrimenti ignorati.
Il limite tra follia e normalità – ci spiega Michel Foucault in La storia della follia nell’età classica(1961) – ha tracciato la storia della modernità, delimitando e dunque de-finendo una certa visione dell’essere umano.
È dunque curioso che l’abbattimento delle barriere che sovente attribuiamo al gesto umano per eccellenza – quello artistico – sia associato alla pazzia, uno stato della non-umanità, dell’alterità. Guy de Maupassant sembra voler mostrare l’ambivalenza della pazzia: l’ebbrezza della fantasia, della creatività e il rischio di perdersi.
MADAME HERMET (1887)
di Guy de Maupassant
I pazzi mi attirano: vivono in un pese misterioso di sogni bizzarri, nella nuvola impenetrabile della demenza dove tutto quello che hanno visto sulla terra, quello che hanno amato, quello che hanno fatto, ricomincia per loro in un’esistenza immaginata al di fuori di tutte le leggi che governano le cose e regolano il pensiero umano.
Per loro l’impossibile non esiste più, l’inverosimile scompare, il fiabesco diventa costante, il soprannaturale familiare. La logica, questa vecchia barriera, la ragione, questa vecchia muraglia, il buon senso, questa vecchia scala delle idee, vengono spezzati, abbattuti, crollano davanti alla loro immaginazione lasciata in libertà, fuggita nel paese illimitato della fantasia, che procede per balzi fantastici senza che niente la fermi. Per loro tutto succede e tutto può succedere. Non fanno sforzi a vincere gli avvenimenti, domare le resistenze, rovesciare gli ostacoli. Basta un capriccio della loro illusionistica volontà perché siano principi, imperatori e dei, perché possiedano tutte le ricchezze del mondo, tutte le cose gustose della vita, perché godano di tutti i piaceri, perché siano sempre forti, sempre belli, sempre giovani, sempre amati!