Scrittore vulcanico, artista “maledetto”, dipendente da sostanze psicotrope – che
hanno avuto un ruolo non indifferente nella sua produzione letteraria (si pensi alla
psichedelica Trilogia di Valis) –, Philip Dick è un autore di culto, che ha saputo
rinnovare e innervare il genere sci-fi con riflessioni filosofiche e teologiche di ampio
respiro. Purtroppo, ha ricevuto il meritato riconoscimento solo dopo la morte.
Autore di romanzi e racconti da cui registi e produttori cinematografici hanno tratto
film di grande successo (come Blade Runner e Minority Report), lo presentiamo con
un brevissimo racconto allucinato, a tratti delirante, che contiene in nuce tutta la
potenza della sua poetica.
IL RACCONTO CHE METTE FINE A TUTTI I RACCONTI (1968)
di Philip K. Dick
In una società devastata dal conflitto atomico le giovani donne vanno a uno zoo
futuristico e hanno rapporti sessuali con svariate forme di vita deformi e non umane
tenute in gabbia. In questo particolare resoconto una donna che è stata messa assieme
coi corpi danneggiati di diverse donne ha un rapporto con una femmina aliena, lì
nella gabbia, e più tardi, grazie alle risorse di una scienza futuristica, la donna
concepisce. Nasce il bambino, e la donna e la femmina chiusa in gabbia si mettono a
lottare per decidere chi se lo terrà. Vince la giovane umana, e subito si mangia il
pargolo, capelli, denti, dita dei piedi e tutto quanto. Subito dopo avere finito di
mangiarlo scopre che il neonato è Dio.